Alcune regioni cromosomiche, come quelle che regolano i tessuti dei testicoli e il cromosoma X, ne sono quasi prive, suggerendo l'esistenza di meccanismi di selezione contro i geni meno compatibili con quelli dell'uomo moderno (red)
Gli studi di genomica hanno ormai dimostrato che i Neanderthal si incrociarono con i primi esseri umani moderni usciti dall'Africa, e che le popolazioni non africane sono il prodotto di questo mescolamento. Si stima che in media dall'1 al 4 per cento del genoma di un non africano sia costituito da sequenze ereditate dai Neanderthal.
La persistenza di questa eredità genetica, sia pur limitata, ha sollevato il problema dei possibili vantaggi adattativi conferiti ai suoi portatori. Una prima risposta viene ora da una ricerca condotta da Benjamin Vernot e Joshua M. Akey dell'University of Washington a Seattle, e pubblicata su “Sciences”, e da una condotta da Sriram Sankararaman e colleghi della Harvard Medical School e del Max Planck Institut per l'antropologia evoluzionistica a Lipsia diretto da Svante Pääbo, pubblicata su “Nature”.
Vernot e Akey hanno sequenziato l'intero genoma di 379 soggetti europei e 286 dell'estremo oriente per confrontarlo con le ricostruzioni del genoma neanderthaliano. Le analisi hanno confermato l'esistenza di una discreta variabilità da individuo e individuo nell'entità dei frammenti di DNA risalenti ai Neanderthal, che sono però sistematicamente in numero più elevato nei soggetti orientali (in media, il 25 per cento in più).
L'apporto genetico dei Neanderthal all'uomo sarebbe avvenuto in due momenti successivi. (Cortesia B; Vernot, J.M. Akey/Science) |
L'aspetto più rilevante è però probabilmente quello messo in luce dalle analisi metagenomiche condotte da Vernot e Akey, che sembrano indicare che nell'uomo moderno si sia complessivamente conservato – sia pure sparso su individui diversi - il 20 per cento del genoma neanderthaliano. Ciò porta a sospettare che il loro reale contributo al nostro patrimonio genetico possa essere superiore a quello già accertato, un sospetto che potrà essere chiarito solo individuando uno a uno le sequenze di DNA e i geni imputabili ai Neanderthal.
Proprio in quest'ultima direzione va lo studio apparso su “Nature”, nel quale Sankararaman e colleghi si sono focalizzati sulla strana distribuzione dei frammenti neanderthaliani nel genoma moderno, che non mostrano una distribuzione uniforme o casuale, ma singolari raggruppamenti e rarefazioni. Così, c'è una frequenza elevata di geni neanderthaliani nelle regioni cromosomiche che influenzano le caratteristiche della pelle e dei capelli, geni che potrebbero aver contribuito all'adattamento all'ambiente freddo non africano. In particolare, risalirebbe ai Neanderthal una variante (allele) del gene BNC2 diffusa fra gli europei, ma non fra gli orientali, che influisce sui livelli di pigmentazione della pelle.
Ricostruzione di un uomo e una donna Neanderthal al Neanderthal Museum di Mettmann, in Germania, la località in cui furono scoperti i primo reperti della specie. (© Federico Gambarini/dpa/Corbis) |
Il risultato più inatteso però è stata la scoperta che le regioni con una scarsa eredità dei Neanderthal sono particolarmente ricche di geni: ciò suggerisce – osservano i ricercatori - che almeno una parte del materiale genetico derivato dai Neanderthal sia stato rimosso dalla selezione naturale. Questa conclusione è corroborata anche dal fatto che a essere particolarmente povere di “residui” neanderthaliani sono le regioni cromosomiche che contengono geni espressi al massimo grado nei tessuti testicolari, e il cromosoma X nel suo complesso: pur essendo una specie strettamente imparentata, alcuni dei geni dei Neanderthal evidentemente non sono stati “tollerati”, provocando una ridotta fertilità degli ibridi maschi.
fonte: lescienze.it
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