Per quale ragione una pianta così importante come la canapa non viene ancora coltivata su larga scala? Per quale ragione non si sono ancora fatti i minimi investimenti per far partire le principali filiere del tessile e della carta?
L’economia e l’ambiente non possono più fare a meno delle materie prime alternative che solo la canapa può fornire. Inoltre la canapa è ormai indispensabile all’agricoltura come coltura da rinnovo e come alternativa "non-food" alle colture tradizionali destinate all’alimentazione, il cui mercato non può ulteriormente espandersi.
Il problema che finora ha impedito il rilancio della canapa ha un nome: "marijuana".
Esistono diverse varietà di canapa. Ci sono quelle coltivate tradizionalmente in Europa per produrre tessuti (cannabis sativa) a basso contenuto di resina, e quelle originarie dell’Oriente ricche invece della resina contenente i cannabinoidi responsabili dell’effetto psicoattivo (cannabis indica).
I cannabinoidi si trovano nella resina che impregna le infiorescenze delle piante. Il THC (tetraidrocannabinolo) è il cannabinoide più importante.
Le infiorescenze ricche di THC servono per fare le sigarette di marijuana, che la legge considera una droga.
Il problema nasce dal fatto che la canapa europea a basso tasso di THC è quasi indistinguibile dalla canapa indiana (l’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità - ha stabilito che se la percentuale di THC è superiore al 1% si tratta canapa indiana, cioè di droga, se è inferiore di canapa industriale).
La resina allo stato puro (hashish) dà effetti allucinogeni, ed è quindi da considerare una vera droga (anche se di solito la si usa, finemente sbriciolata nel tabacco, per farne sigarette che hanno la stessa concentrazione di principio attivo e si fumano come la marijuana).
Anche se è possibile stabilire con delle analisi il tasso di THC di una pianta, e anche se in deroga alla proibizione e con mille limitazioni è consentito coltivarla, di fatto la coltivazione della pianta a scopo industriale non è libera. E se la coltivazione non è libera, se può sempre capitare che un contadino che la coltiva venga trattato come un trafficante di droga, ben difficilmente si potranno trovare agricoltori che la seminano e aziende che la lavorano.
Il problema "droga".
Se non ci fosse il problema marijuana la canapa potrebbe essere una normale pianta coltivata, e noi potremmo usarla per risolvere i tanti problemi dell’agricoltura, dell’economia e dell’ambiente. Se da alcune varietà di questa pianta si ricava una droga è solo una sfortunata coincidenza.
Ma le cose stanno proprio così?
In realtà i termini della questione dovrebbero essere rovesciati: non è vero che noi non possiamo usare questa pianta per risolvere i problemi ambientali perché – purtroppo – è anche una droga. E’ vero invece il contrario: la canapa ricca di resina è in realtà prima di tutto un importante medicinale, ed è stata fatta diventare una droga negli anni Trenta per eliminare un pericoloso concorrente del petrolio, dell’industria chimica e della carta fabbricata col legno degli alberi.
E’ questa la ragione per cui chi si interessa della canapa per ragioni sia economiche che ambientali, deve prima o poi fare i conti, anche se non vuole, con la il problema droga.
Per capire perché è necessario fare qualche passo indietro.
La canapa (cannabis sativa) è sempre stata una delle principali piante coltivate, di grande importanza sia economica che strategica, perché serviva per fabbricare i più diffusi tessuti, le vele delle navi e le corde. La canapa è anche una delle poche piante coltivate fin dall’antichità sia in Oriente che in Occidente. Non si può nemmeno immaginare la società antica senza la canapa, senza i suoi tessuti, senza le vele e le corde di canapa robuste e immarcescibili. L’importanza della canapa nelle società antiche emerge anche dalle località geografiche che portano ancora il suo nome (Canavese in Italia, Hempshire in Inghilterra, Bangladesh in Oriente sono solo alcuni esempi). La canapa è stata spesso celebrata da scrittori e da poeti, e in Italia le è stato dedicato persino un poema, Il Canapaio.
Solo nel corso dell’Ottocento la coltivazione della canapa ha perso gran parte della sua importanza perché è stata sostituita progressivamente dal cotone, e le navi a vela sono state sostituite dalle navi a vapore.
Anche gli usi medici della canapa (cannabis indica) sono altrettanto antichi. Sono tradizionali in Oriente, ma l’uso della cannabis con effetti soporiferi era conosciuto anche tra le civiltà del Mediterraneo (antichi Egizi) e successivamente presso i paesi arabi.
Furono gli Inglesi a (ri)scoprire in India nella prima metà dell’Ottocento l’importanza medica della cannabis.
Nel 1842 il medico inglese O’Shaunghnessey ritornò in Inghilterra portando con sé la tintura di canapa, e ben presto questo nuovo farmaco si diffuse al punto da diventare, nella seconda metà dell’Ottocento, uno dei più diffusi nei paesi anglosassoni.
Gli usi medici della canapa indiana sono numerosi e importanti, e ne fanno una delle piante medicinali più utili in assoluto. La cannabis indica è uno dei farmaci più efficaci, o il più efficace di tutti, come analgesico, antiemetico, antidepressivo, nel mal di testa ed emicrania, nell’epilessia, nel glaucoma, nell’asma ecc.
A cavallo tra Ottocento e Novecento la canapa indiana cominciò ad essere sostituita dai farmaci sintetici, che avevano il vantaggio di poter essere dosati con esattezza e di funzionare in modo più evidente, ed anche di far guadagnare di più, mentre gli effetti collaterali non erano ancora evidenti. Cominciò così ad essere sostituita per le stesse ragioni che portarono alla sostituzione progressiva dei farmaci naturali con i farmaci sintetici.
La canapa ha quindi una lunga storia alle spalle, e per quanto riguarda quella ricca di resina usata a scopo medico, il problema dei suoi blandi effetti psicoattivi era considerato trascurabile, tanto che veniva somministrata tranquillamente anche ai bambini.
La riscoperta della canapa degli anni Trenta e la proibizione del 1937
Per quanto riguarda gli usi industriali, negli anni Trenta ci fu un rinnovato interesse per la canapa: vennero studiati nuovi materiali ad alto contenuto di fibra per l’industria, materie plastiche ricavate dalla cellulosa del legno, e venne anche studiata la possibilità di fabbricare la carta col legno della canapa. Infine con l’olio già si producevano in grande quantità vernici e carburante per auto.
Proprio in quegli anni il magnate del petrolio Henry Ford costruì un prototipo di automobile in cui sia la carrozzeria che gli interni e persino i vetri dei finestrini erano fatti di canapa. Quest’auto pesava un terzo di meno, e anche il carburante che la faceva muovere era di canapa.
Negli anni Trenta la canapa era diventata matura per servire come fonte abbondante di materie prime per numerosi settori dell’industria. Un’industria molto più sostenibile per l’ambiente rispetto a quella che conosciamo.
Purtroppo queste promesse non furono mantenute. Si erano allora già costituiti dei grossi interessi che si contrapponevano alla canapa. Con il petrolio si incominciavano a produrre materiali plastici e vernici, e la carta di giornale della catena Hearst era fabbricata a partire dal legno degli alberi con un processo che richiedeva grandi quantità di solventi chimici, forniti dalla industria chimica Du Pont.
La Du Pont e la catena di giornali Hearst quindi si coalizzarono. Con una martellante campagna di stampa durata anni la cannabis, chiamata da allora con il nome di "marijuana", venne accusata di essere responsabile di tutti i delitti più efferati riportati dalla cronaca del tempo.
Il nome messicano "marijuana" era stato scelto con cura al fine di mettere la canapa in cattiva luce, dato che il Messico era allora un paese "nemico" contro il quale gli Stati Uniti avevano appena combattuto una guerra di confine. Inoltre era un termine sconosciuto in America, per cui l’opinione pubblica, sentendo parlare di una droga tanto pericolosa, non poteva certo immaginare che fosse l’innocuo e gentile farmaco chiamato cannabis dalle proprietà rilassanti, che come blando effetto collaterale poteva provocare solo una moderata allegria.
Approfittando anche del fatto che l’America degli anni Trenta attraversava una profonda crisi economica, con milioni di disoccupati e un’opinione pubblica esasperata alla ricerca di qualcuno con cui prendersela, nel 1937 venne approvata una legge che proibiva la coltivazione di qualsiasi tipo di canapa. Da notare che non venne proibita solo la canapa ricca di resina, ma anche la normale canapa coltivata. Da notare inoltre che non di semplice proibizionismo si tratta, ma di iperproibizionismo, tanto più iper quanto più ingiustificato. In America ancora oggi vanno in galera ogni anno alcune centinaia di migliaia di persone solo perché trovati a fumare qualche sigaretta. Da notare che il proibizionismo è stato determinante nel diffondere l’uso consumistico della canapa, mentre prima esisteva solo quello medico. Da notare infine che, a conti fatti, l’unico proibizionismo che ha veramente funzionato, è stato quello nei confronti della canapa per uso industriale, il vero obiettivo della proibizione, oltre che della canapa medica.
Dagli anni Trenta in poi l’industria chimica del petrolio e quella della carta fabbricata col legno degli alberi hanno provocato infinite distruzioni negli ecosistemi mondiali. Se oggi si vuole costruire una società dei consumi molto più sostenibile per l’ambiente è quindi necessario rovesciare quella decisione che nel 1937 ha trasformato uno dei più importanti e innocui farmaci in una pericolosa droga.
Come già detto la cannabis può anche essere una vera droga, se non per i danni, almeno per gli effetti che può provocare. La resina allo stato puro (conosciuta come hashish) assunta a forti dosi provoca effetti allucinogeni, tanto più intensi quanto maggiore è la dose. Non è stata però questa la ragione della proibizione della canapa del 1937, perché allora l’uso allucinogeno era di fatto sconosciuto in America, non corrispondeva al nome messicano di marijuana, e in ogni caso non avrebbe potuto provocare i fatti di cronaca violenti che le venivano attribuiti.
Ad ogni modo questo problema esiste. Un uso consumistico della cannabis a scopo allucinogeno è da sconsigliare: l’hashish non è una sostanza anodina; può provocare forti sensazioni sia piacevoli che spiacevoli, e quindi bisognerebbe almeno usarla con cautela.
La cannabis provoca danni fisici e dipendenza?
Sui principali media (giornali, televisioni ecc.) infuria continuamente il dibattito sulla presunta pericolosità della canapa indiana, sia per quanto riguarda i danni fisici sia per quanto riguarda la dipendenza.
Per quanto riguarda il problema dei possibili danni fisici, il rapporto Roques commissionato dal Governo francese, nel capitolo che riguarda la cannabis, cita molte ricerche fatte o in corso di svolgimento, che potrebbero concludersi con la dimostrazione di qualche danno a carico della canapa indiana. Ma il fatto è che, nonostante i molti paroloni scientifici, di dimostrato non c’è ancora nulla. Di ricerche ne sono state fatte molte, proprio allo scopo di individuare dei danni con cui giustificare il proibizionismo, ma sono proprio queste ricerche che ne hanno dimostrato la totale innocuità. La cosa più importante di cui si riferisce nel rapporto, che è anche quella che viene citata più spesso dai proibizionisti, è una "perturbazione del comportamento del sistema immunitario", osservata nelle cavie di laboratorio alle quali sono state somministrate dosi molto forti di cannabis.
Un comportamento irregolare del sistema immunitario potrebbe sicuramente provocare dei problemi, ma bisogna tenere conto che si tratta di dosi molto superiori a quelle mai assunte da essere umano.
Gli alti dosaggi con effetto allucinogeno, gli unici che potrebbero destare qualche preoccupazione, non hanno però molto interesse per gli usi di medicina, e per di più sono anche poco diffusi tra i consumatori di canapa indiana.
E’ il consumo a basse dosi, tipico della cannabis fumata, o marijuana, che interessa la medicina, anche se bisogna dire che, quando la cannabis era usata a scopo medico, era somministrata sotto forma di tintura, e quindi dosata in gocce, e non fumata. Anche così comunque si manifestano i famosi effetti psicoattivi, che però non erano considerati da nessuno un problema.
Quando si parla di marijuana l’unico esempio che i proibizionisti riescono a fare riguarda i possibili danni ai polmoni. Si parte da questa constatazione: una sigaretta di marijuana deposita nei polmoni tre volte più catrame rispetto ad una normale sigaretta di tabacco. Cosa significa? Che la marijuana è tre volte più dannosa del tabacco? Che comporta un rischio tre volte più grande di cancro ai polmoni?
Innanzi tutto va detto qual è la ragione di questo maggior deposito di catrame: le sigarette di tabacco hanno il filtro, le altre, vendute nel mercato clandestino, no.
Inoltre di marijuana rispetto al tabacco se ne fuma molto meno. Secondo il rapporto Roques il 90% dei consumatori di cannabis sono occasionali, cioè non fumano nemmeno una sigaretta al giorno. Per di più, se fosse veramente questo il problema, basterebbe usare pipe ad acqua che abbattono completamente il catrame, oppure altre forme di somministrazione. Ma anche le indagini sui fumatori più accaniti, quelli che fumano fino a 10 sigarette di marijuana al giorno (il massimo teorico, perché in questo modo si è sotto l’effetto della sostanza per tutte le ore del giorno in cui si è svegli), non hanno dimostrato nessun aumento del rischio statistico di ammalarsi di malattie polmonari o di cancro ai polmoni.
Nel fumo di tabacco ci sono delle sostanze cancerogene che evidentemente mancano nel fumo della cannabis. Inoltre, mentre la nicotina del tabacco provoca il restringimento degli alveoli dei polmoni, il fumo della cannabis ne provoca la dilatazione, il che favorisce l’eliminazione delle sostanze estranee. Per questo motivo il fumo della marijuana è considerato un rimedio per l’asma. Gli scienziati dicono che nei fumatori di marijuana si osservano gli stessi danni superficiali alle mucose dei polmoni dei fumatori di tabacco, ma che poi il danno non progredisce oltre.
Anche gli altri danni, imputati a volte alla canapa indiana, sono stati regolarmente smentiti dalle ricerche scientifiche: la diminuzione della memoria non è mai stata dimostrata, perché i test di memoria danno differenze minime e oltretutto contrastanti. I danni al cervello sono del tutto inesistenti anche per le dosi allucinogene (mentre una sbornia di alcool provoca estese distruzione di cellule cerebrali).
Per quanto riguarda invece il problema dipendenza, mentre il rapporto Roques sostiene che in un numero limitato di casi, comunque molto inferiore a quelli di alcool e tabacco, alte dosi di cannabis (hashish) possano dare dipendenza, altri autori sostengono che non dà mai assuefazione o dipendenza quali che siano le dosi.
Nessuno invece può più sostenere che esistano problemi di dipendenza per la cannabis a basse dosi (marijuana). Vedere per esempio nella pagina sugli usi medici della canapa il servizio pubblicato a suo tempo dalla rivista inglese New Scientist che fa anche il punto sulla esperienza olandese di liberalizzazione del consumo della canapa indiana (../medicina/index.html) .
Sia sufficiente dire che per la marijuana o l’hashish non sono mai stati previsti in nessuna parte al mondo programmi di disintossicazione, ma solo a volte, come negli Stati Uniti, corsi di rieducazione per non perdere il lavoro – il che è un’altra cosa -.
Per restare con i piedi per terra vale la pena considerare i danni (e la dipendenza) di una sostanza ritenuta innocua e venduta per questo senza ricetta medica come farmaco da banco in tutte le farmacie.
L’aspirina, che guarda caso ha sostituito giusto 100 anni fa la cannabis come analgesico, provoca facilmente ulcerazioni allo stomaco (e a tutti sarà capitato sentirsi dire di non prenderla a stomaco vuoto). Inoltre nella letteratura scientifica sono segnalati decine di casi di morte dovuti all’aspirina. Inoltre l’aspirina provoca anche assuefazione, se è vero che ci sono milioni di persone nel mondo che consumano l’aspirina a mezzo tubetto per volta. Secondo Lester Grinspoon, il principale esperto mondiale di marijuana, non esiste invece nella letteratura medica nemmeno un caso di morte attribuibile con certezza alla cannabis.
Se fossero stati dimostrati a carico della cannabis anche solo un decimo dei danni provocati dall’aspirina, chissà che cosa non si sarebbe detto!
In realtà i danni provocati dalla canapa indiana, ammesso che ce ne siano, sono ben inferiori alla decima parte di quelli provocati dall’aspirina. Per sostenere che la cannabis provoca dei danni bisogna veramente arrampicarsi sugli specchi!
Se poi si paragona il farmaco cannabis a tutti quelli che attualmente lo sostituiscono, come gli psicofarmaci, gli antiemetici ecc., e che provocano estesi danni collaterali, forte dipendenza e pesanti effetti sulla psiche, il confronto con la totale innocuità della canapa indiana è ancora più stridente.
E’ veramente curioso che simili argomenti vengano ancora ritenuti una giustificazione di quello che è di fatto un vero e proprio accanimento proibizionistico.
Gli effetti psicoattivi della marijuana
Ma non possono essere una giustificazione del proibizionismo nemmeno gli effetti psicoattivi indotti dalla cannabis a basse dosi.
Prima di tutto si tratta di effetti blandi, tanto che una persona sotto la sua influenza non è facilmente distinguibile da un’altra. Inoltre questi effetti sono tutt’altro che demoniaci. Ecco più o meno quali sono (non per esperienza diretta): distensione mentale e muscolare, miglioramento dell’umore, rallentamento dei riflessi, maggior difficoltà nel mantenere l’attenzione e maggior interesse per i piccoli dettagli.
Per quanto riguarda il rallentamento dei riflessi e la maggiore difficoltà di attenzione, non si tratta dei "danni" della cannabis, ma solo delle sue peculiari caratteristiche (completamente reversibili e senza alcun effetto a lungo termine come molti studi hanno dimostrato). Così la caratteristica della camomilla è di conciliare il sonno, e quella del caffè di migliorare lo stato di attenzione, ma nessuno pensa per questo che la camomilla e il caffè per i loro effetti sulla psiche siano delle pericolose droghe da proibire.
D’altra parte la proibizione del 1937 era stata giustificata con ben altre accuse che quella di allentare un po’ i riflessi: la si accusava di essere responsabile di tutti i delitti più efferati riportati dalla cronaca del tempo, come se potesse rendere le persone pazze e assatanate di violenza.
Adesso nessuno si sogna più di fare simili accuse, che però sono state la causa di quella che si potrebbe definire "la madre di tutte le proibizioni". Una proibizione che da allora in poi, nonostante che gli argomenti originari siano venuti meno, è stata ribadita infinite volte. Anzi, sempre nell’intento di giustificare questa anacronistica proibizione, da qualche parte oggi si sostiene che la cannabis potrebbe rendere le persone così miti e tranquille che, nel caso venissero aggredite, non sarebbero più in grado di difendersi…
Da precisare che qui non si sta parlando né di "droghe leggere", che comprendono anche le pasticche fatte di sostanze chimiche artificiali che pochi o molti danni sicuramente provocano, né di droghe in generale. Ma solo di una pianta e di un farmaco naturale di nome cannabis.
L’unica controindicazione riguarda il consumo eccessivo da parte degli adolescenti.
In questa età difficile, in cui si passa da un ambiente protetto e senza preoccupazioni ad una situazione in cui bisogna cominciare ad assumersi le proprie responsabilità, ci può essere la tentazione di sfuggire alla realtà. Si può cercare di sfuggire alla realtà in tanti modi: troppa tivù, film, videogiochi, fumetti ecc. E anche troppa marijuana. Di per sé la marijuana non costituisce un problema, salvo che non diventi un comodo rifugio per sfuggire alla realtà e alle proprie responsabilità. Anche in questo caso però è molto meglio informare correttamente ed educare piuttosto che proibire. Certamente la strada peggiore di tutte è quella di ingannare i giovani, che sanno benissimo che la marijuana è del tutto innocua, e che per procurarsela devono esporsi ai contatti con gli spacciatori di droghe pesanti.
Sarebbe veramente ora di prenderne atto.
La sindrome della prima guerra mondiale.
In realtà nel comportamento di molti dei proibizionisti della cannabis sembra di scorgere quella che si potrebbe chiamare "la sindrome della prima guerra mondiale".
Per spiegare cos’è la sindrome della prima guerra mondiale è necessario fare una digressione.
Le guerre di solito nascono quando negli stati ci sono forti tensioni interne che non si possono risolvere: queste tensioni vengono allora proiettate all’esterno, verso i paesi confinanti. Ma la prima guerra mondiale non è nata così. Anzi l’Europa di quegli anni stava vivendo un periodo di crescita economica e di crescente benessere. Capitarono dei fatti che portarono Francia e Germania ad un confronto militare. Ognuno dei due paesi pensava che sarebbe stato sufficiente mostrare i muscoli, e poi, dopo qualche mese, ognuno sarebbe tornato ai suoi soliti affari. Invece, dopo soli due o tre mesi, erano già morte dalle due parti alcune decine di migliaia di giovani, e la brillante esibizione di potenza si era trasformata in una sporca e sanguinosa guerra di trincea.
A questo punto sarebbe stato il momento di dire: questa guerra non la vogliamo fare, ci siamo sbagliati, torniamo indietro, facciamo finta che non sia successo niente. Ma come si faceva: c’erano già decine di migliaia di morti! E così la guerra è continuata, e alla fine i morti sono stati decine di milioni.
Così è per la canapa indiana. Come si fa a dire adesso: "scusateci, abbiamo sbagliato, la cannabis è completamente innocua, anzi è un benefico farmaco", dopo tante professioni di fede sulla pericolosità e sugli effetti demoniaci di questa sostanza, dopo che milioni di persone in tutto il mondo sono finite in galera solo per avere fumato uno spinello?
E’ forse per questo motivo che non si ha il coraggio di ammettere l’assurdità di questo proibizionismo, che mette sullo stesso piano la cannabis e droghe come l’eroina e la cocaina.
Ma è sempre più difficile mantenere queste posizioni: negli Stati Uniti, dove la medicina della cannabis è stata in uso per tanto tempo, sono già una ventina gli stati in cui sono stati vinti altrettanti referendum popolari per la liberalizzazione della canapa ad uso medico. Negli ospedali americani già da tempo l’uso medico della cannabis è tollerato e addirittura incoraggiato dai medici, nonostante il permanere della proibizione del governo federale.
Più di recente, dopo l’Olanda, la Svizzera e di fatto la Spagna, anche il Belgio il giorno 19/1/2001 ha deciso di liberalizzare completamente il consumo della cannabis.
E persino nella arretrata Italia gli usi medici della canapa cominciano ad essere conosciuti.
Oltre ai principali magazine, anche la televisione nazionale (RAI3 – Report di Domenica 18/02/2001 ore 23.00) stanno dedicando importanti servizi a questo argomento, ed anche su Internet esiste un completo portale in italiano sulla medicina con la cannabis, gestito da medici ai quali ci si può anche rivolgere in caso di necessità.
La questione canapa
In definitiva, salvo che qualcuno riesca a dimostrare il contrario (ma ci hanno già provato in tanti…) la situazione può essere riassunta nei seguenti punti:
- la coltivazione della canapa per uso industriale, coltivata ovunque fin da quando esiste l’agricoltura, è sempre più indispensabile per l’equilibrio dell’ambiente e per una economia sostenibile;
- la coltivazione della canapa industriale è proibita, salvo deroghe e limitazioni, perché è difficilmente distinguibile dalla canapa indiana;
- la canapa indiana a basse dosi (marijuana) è proibita come se fosse una droga, mentre i suoi effetti psicoattivi sono blandi e socialmente accettabili, non provoca danni né a breve né a lungo termine ed è anzi un importantissimo farmaco;
- la canapa indiana ad alte dosi (hashish) è ugualmente proibita perché dà effetti allucinogeni, anche se non provoca danni fisici ma forse solo una leggera dipendenza;
- non si può liberalizzare la coltivazione della canapa industriale perché ciò comporterebbe il rischio di allentare la proibizione sulla marijuana;
- non si può liberalizzare la marijuana, anche se non è una droga ma un farmaco naturale, perché ciò comporterebbe il rischio di allentare la proibizione sull’hashish;
- per la proprietà transitiva non si può coltivare la canapa industriale perché ciò comporterebbe il rischio di allentare la proibizione sull’hashish, anche se l’hashish è di fatto una sostanza innocua e comunque ben poco usata!
Appena l’Italia ha cominciato a produrre in proprio un po’ di semente delle varietà italiane rientrante in questo limite, immediatamente la CEE lo porta allo 0,2%, con minaccia di arrivare fino allo 0% se l’Italia (che produceva la migliore fibra tessile di canapa del mondo) insisterà nel volersi adeguare a questo nuovo parametro. Tutto questo per proteggere un minuscolo monopolio francese, sostenuto da aiuti comunitari, costituitosi in questi anni.
E così succede che, mentre un numero sempre maggiore di paesi scopre l’utilità della canapa, ne rivaluta gli usi medici e legalizza la marijuana e l’hashish, una miope burocrazia comunitaria cerca di impedire in tutti i modi che i problemi dell’ambiente possano trovare le soluzioni che da tanto tempo stanno aspettando.
fonte: usidellacanapa.it
La Vera Storia della Marijuana - di Massimo Mazzucco (vers. integrale)
La storia della marijuana in 4 minuti e 20 secondi
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