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Cos’è la Gemmoterapia e a cosa serve?

Con la parola “Gemmoterapia” si intende un settore della fitoterapia-relativamente recente- elaborato dall’ omeopata belga Henry Pol  a partire dagli anni ’50. Consiste nell’impiego di derivati vegetali tratti dal tessuto meristematico (gemme, boccioli, giovani getti) di alcune piante, fatti macerare a freddo in una soluzione di acqua, alcool etilico e glicerina, in parti eguali. La presenza di tre solventi, a differente lipofilia, permette di estrarre fra l’altro un ampio spettro di principi attivi, non estraibili con un solo solvente. Esistono tuttavia anche metodiche alternative che prevedono l’uso di alcol spagyrico (spiritus vini rettificato, un efficace “alkaest” cioè solvente in grado di estrarre i principi sottili di Individuo vegetale) oppure estrazioni più concentrate in assenza di acqua (fito-embrioestratti), cosa che tuttavia si discosta molto dall’idea originaria del dott. Pol il quale prevede l’acqua in quanto matrice essenziale per memorizzare informazioni  “vibrazionali”. Il prodotto finale viene diluito alla 1DH (prima diluzione decimale hanhemanniana), salvo rarissime eccezioni in cui viene impiegata la centesimale.


La scelta di usare le gemme è dovuta essenzialmente a due ragioni:
  • una prima, di ordine strettamente biochimico e farmacologico, è che nel tessuto meristematico è presente un’alta concentrazione di numerosissimi principi attivi, non presenti tutti contemporaneamente in altre cellule già differenziate della pianta: auxine, gibberilline, fito-ormoni, citochine, oltre a un’ elevata concentrazione di acidi nucleici in rapida replicazione.
  • una seconda di ordine energetico: le gemme costituiscono un tessuto ancora embrionale e non differenziato. In quanto tali esse contengono in sé tutta la potenzialità evolutiva della pianta, non allo stato latente (come nel seme) ma in piena attività replicativa, esprimendo quindi la Forza Vitale della pianta nella sua massima potenzialità e attività, nonché al massimo delle sue capacità auto-rigenerative.
In parte l’impiego di certe piante può essere guidato dal principio analogico, tuttavia rigorosamente confermato dal riscontro sperimentale (questo è l’ambito più propriamente di medicina non-convenzionale). Il principio analogico ha indotto a formulare una corrispondenza fra il comportamento evolutivo di alcune piante nel processo di forestazione (compreso  il comportamento “sociologico” di tali piante), da un lato, il tipo di humus su cui si sviluppano e il modo in cui lo modificano dall’altro, e infine con le alterazioni dello stato di salute del paziente, valutato in base al livello delle proteine plasmatiche (globuline).   La relazione fra proteine e altri composti del tessuto meristematico della pianta e le proteine animali è in gran parte suggerito dal fatto che il regno animale è fortemente dipendente da quello vegetale per la sua esistenza sul pianeta.

Ad esempio gli autori di riferimento (Pol, Martin, Reymond) hanno scelto di classificare le piante in base al processo colonizzativo di un territorio. Ad esempio la Betulla e l’ Ontano, piante pioniere e formatrici di humus necessario allo sviluppo di altre piante, assomigliano in modo particolare alle alfa-globuline, proteine il cui aumento corrisponde alle fasi iniziali dell’infiammazione ( i loro derivati verranno quindi impiegati in queste fasi per diminuire la flogosi, normalizzando il “terreno” del paziente). A seguire vengono tutte le altre piante secondo criteri di colonizzazione ed habitat, in un modello nel quale la fisiopatologia umana “mima” l’ecosistema globale:
  1. Sulla prima fase dell’infiammazione verranno ad agire i rimedi tratti da piante pioniere dunque: Betulla, Ontano, Frassino, ecc. tra gli arbusti invece il Ribes e la Rosa canina (entrambi famosi del resto per la provata azione cortison-like).
  2. Nelle infiammazioni cronicizzate agiranno le “seconde serie” di specie colonizzatrici come il Noce e il Faggio, che richiedono terreni già più strutturati, drenati ecc..(si noti infatti l’assenza del processo essudativo tipico della fase iniziale e acuta della flogosi).
  3. Sui processi degenerativi, quando si è ormai giunti ad una destrutturazione morfo-funzionale dei tessuti (degenerazione ialina, fibrinoide ecc..), verranno ad agire le piante che crescono ai margini della foresta, o su terreni brulli, degradati, ormai demineralizzati come l’Erica o il Rovo e il Lampone. Anche il Nocciolo che alcalinizza terreni acidi e depauperati rientra fra questi.
L’ipotesi analogico-simbolica è controllata dalla verifica degli effetti (forse sorprendenti per alcuni) che la somministrazione di specifici gemmoderivati ha sul tracciato elettroforetico delle globuline plasmatiche nei pazienti.

Un secondo criterio-guida nell’uso di questi derivati è strettamente farmacologico: in questo caso l’uso che se ne fa è però sostanzialmente allopatico, venendo a passare in secondo piano qualsiasi criterio di valutazione dell’aspetto sottile ed energetico del rimedio.

Malgrado si stia parlando di aspetti sottili, va però notato che di tutte le preparazioni che prevedano questa componente “energetico-vibrazionale”  (omeopatia, floriterapia, medicina spagyrica), i gemmoderivati sono quelli più vicini al livello fisico di questo spettro o scala di frequenze, per l’alto numero di molecole attive, e anche per la bassa diluizione impiegata (come detto solo 1DH). Sono quindi indirizzati o al drenaggio/depurazione di un tessuto oppure al “sostegno d’organo”, cioè alla stimolazione funzionale dell’organo secondo lo specifico tropismo di ciascuna pianta. Sostegno che viene offerto in virtù dell’elevata attività rigeneratrice delle gemme (in Medicina Cinese si direbbe che i germogli sono ricchi di Jing, “essenza vitale”). Più sfumate e meno marcate sono invece le azioni sul piano psico-emotivo, almeno se si impiegano dei semplici macerati glicerici.

fonte: asclepiosalus.wordpress.com

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