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Porre FINE allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo

In un suo famoso aforisma Albert Einstein affermava: «Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l'inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare». C'è di peggio, non solo i giusti se ne stanno a guardare, ma collaborano attivamente con i malfattori per realizzare quel disastro che abbiamo anche il coraggio di chiamare società


E' vero, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo esiste perché un'élite egoista e parassitaria usa altri esseri umani come mezzo per ottenere il fine del profitto, ma affinché lo sfruttamento avvenga è altresì necessario che all'interno della società ci siano individui disposti a farsi sfruttare, che convivono con altri che trovano normale tollerare lo sfruttamento.

Infatti se la massa non fosse disposta a piegarsi alle volontà degli sfruttatori e si ribellasse contro chi intende asservire altri esseri umani, lo sfruttamento non troverebbe terreno fertile per concretizzarsi, perlomeno senza ricorrere ad azioni coercitive di tipo diretto.

Eppure, anche in quel caso, se gli individui fossero determinati a tal punto da riuscire ad anteporre la propria vita alla schiavitù in virtù dei loro nobili ideali di giustizia e libertà, di nuovo lo sfruttamento non potrebbe avvenire e i malfattori sarebbero rapidamente spazzati via dalla società.

E invece oggi che cosa accade?

Non solo andiamo in cerca spontaneamente del nostro sfruttamento, ma siamo soliti ringraziare i nostri sfruttatori, ammirandoli e rivolgendoci a loro con i termini di benefattori, datori di lavoro o imprenditori, guardandoli con senso di stima, di rispetto e forse anche con un po' d'invidia, arrivando addirittura ad ambire alla loro posizione sociale.

Si può forse trovare una giustificazione per chi adotta una forma di violenza e di sopruso, seppur legittimata dalla legge, in presenza di un'alternativa? 

No di certo, chi sfrutta gli altri è pienamente responsabile, in quando potrebbe evitare di compiere quell'azione, per questo è ingiustificabile.

Chi asserve altri esseri umani per il profitto non dev'essere preso come esempio, né tanto meno dev'essere stimato.

Lo scopo di quegli individui non è assicurare il benessere degli esseri umani, bensì soddisfare un proprio egoistico bisogno, avvalendosi del meccanismo della subordinazione.

Non c'è alcun rispetto per chi tratta gli esseri umani come un mezzo e non come un fine.

Dall'altro lato, nel dualismo capitalista-proletario, ci sono i subordinati; quelli che pensano di essere liberi e non si rendono neanche conto di appartenere a pieno titolo alla categoria dei moderni schiavi.

Il sistema si è impegnato a fondo per convincerli a bramare la propria schiavitù, illudendoli che lavorare per conto di altri individui sia un modo dignitoso di vivere, del tutto necessario se si vuole portare a casa il pane, oltre che una qualche presunta forma di libertà.

Ma dov'è la libertà all'interno di un sistema sociale folle, nel quale la maggioranza degli individui non può seguire le proprie vere passioni, ed è invece costretta a fare ciò che garantisce un ritorno economico?

Dov'è la libertà in una società che costringe a sacrificare la maggior parte del tempo della propria unica esistenza per lavorare forzosamente?

Dov'è la libertà quando si resta senza un contratto di schiavitù e non si vede alternativa ad invocare a gran voce il proprio sfruttamento, pur di non finire a dormire per strada?

Esistono tanti modi per sprecare la propria esistenza, ma quella di guadagnarsi uno stipendio come dipendente all'interno di un'azienda è uno tra i più stupidi, in special modo quando si tratta di un'azione consapevole e volontaria.

Certo, questa frase detta all'interno di un sistema socio-economico che insegna alle persone ad ambire alla propria schiavitù potrà suonare un po' strana, ma innanzi ad un'analisi distaccata risulta essere la realtà dei fatti.

Chi sceglie il lavoro subordinato si sta auto-condannando a compiere quotidianamente gesta ripetitive e noiose, che vengono svolte per un tempo disumano nel grigiore di uno stabile, come in una condizione di carcerazione temporanea.

Giorno dopo giorno il lavoratore subisce una continua forma di violenza, sperimentando una condizione di vita lontana anni luce dalle vere esigenze d'un essere umano, che impedisce a quell'individuo di sviluppare le proprie potenzialità, nonché di vivere la propria vita con pienezza.

Non si va al lavoro quando si ha voglia, no! Ci si deve andare tutti i giorni in modo forzoso, indipendentemente dalla propria volontà, dalle proprie condizioni di stanchezza fisica e a prescindere dalla motivazione, demandando al tempo del mai tutto ciò che invece potrebbe essere svolto durante l'orario di lavoro.

Un giovane lavoratore fresco, vitale e cognitivo dopo pochi anni di lavoro si trasforma in un essere mediocre, in pieno decadimento fisico e mentale, che sopravvive per inerzia nella sua inutile esistenza da schiavo del capitale.

Con il passare del tempo il lavoro coatto induce molteplici problemi di tipo psico-fisico, andando a minare salute, felicità e capacità intellettive.

Come se non bastasse il frutto del lavoro di ogni subordinato viene ripartito in modo fortemente iniquo; la sua paga è appena sufficiente a mantenerlo in vita, mentre tutto il resto viene destinato a soddisfare l'insaziabile esigenza di profitto di un non ben definito numero di sfruttatori parassitari.

Il fatto di andare scientemente a mendicare il lavoro per accaparrarsi il diritto di essere sfruttati al fine di generare utile per conto di altri, dovendo per giunta superare delle prove psico-attitudinali al pari di cavie da laboratorio, per poi trascorrere il resto della propria vita svolgendo compiti che non sono pensati per essere interessanti, divertenti o gratificanti e che spesso non sono neppure utili per la comunità, con modalità antitetiche alle reali esigenze di ogni essere umano... rappresenta una dinamica evitabile che non ha ragione d'esistere, che può essere condotta volontariamente esclusivamente da individui che sono stati abituati ad attribuire uno scarso valore a se stessi e alla propria esistenza.

Fermiamoci ancora un attimo a pensare, che cosa stiamo facendo quando firmiamo un contratto di lavoro?

Vendiamo la maggior parte della nostra vita al capitale, credendo che lavorare significhi vivere e non ci rendiamo conto che in questo modo getteremo al vento l'inestimabile tempo della nostra unica esistenza.

Barattiamo i nostri beni più preziosi, ovvero la libertà e il tempo della vita, con un lavoro che ci trasformerà in automazioni, semplici ingranaggi d'un sistema che non è neanche finalizzato al raggiungimento del benessere degli esseri umani.

Lavorando freneticamente saremo sempre occupati e perderemo di vista le cose veramente importanti della vita; il tempo libero oscillerà tra riposo e futili impegni non demandabili.

Gli amici, la famiglia e perfino noi stessi, passeranno in secondo piano rispetto al lavoro; saremo costretti a continue rinunce e posticipazioni.

Le giornate al servizio del capitale scorreranno rapidamente, l'una identica all'altra; noia, insoddisfazione e un senso di smarrimento ci assaliranno.

Pian piano perderemo fantasia e creatività, vitalità e vigore fisico; quel libro che avevamo iniziato resterà incompiuto, non riusciremo più a praticare sport, i nostri sogni svaniranno.

La vita scorrerà via rapida come un fiume in piena, trascinando con se le infinite occasioni concesse dalla complessità della vita, che purtroppo non torneranno più...

Un giorno ci sveglieremo di soppiatto realizzando di essere vecchi o malati e di non essere realmente più in grado di far nulla.

A quel punto il capitale ci avrà già gettato via, perché di certo non saremo più produttivi e quindi ci considererà inutili per il fine del profitto: saremo trattati al pari di un rifiuto.

Solo allora comprenderemo fino in fondo che la nostra pienezza intellettuale e fisica è stata sprecata stupidamente; partecipando ai meccanismi necessari a concretizzare una follia sociale, avremo gettato in mare la nostra unica esistenza per il profitto di un'élite.

Perlomeno un tempo la classe lavoratrice era consapevole della propria condizione e lottava per raggiungere l'emancipazione.

Oggi invece il subordinato medio, dopo anni d'indottrinamento mediatico, è completamente disorientato ed è in grado persino di ringraziare gli schiavisti per l'opportunità di essere sfruttato!

A tal fine l'élite forma un esercito d'individui asservibili alle proprie necessità, avvalendosi dell'istruzione e del continuo indottrinamento mediatico; il capitale ha bisogno di moderni schiavi che vengono utilizzati come macchine e non come esseri umani. 

Ma per raggiungere il profitto, i veri bisogni sono messi in secondo piano e così lo sfruttamento, l'inquinamento e la povertà, diventano la normalità in quanto necessari al primo fine: quello dell'accumulazione del capitale.

Alcuni si rendono conto di queste verità, ma pensano di non avere alternative e così ingoiano il rospo della subordinazione e di un lavoro stupido, inutile e totalizzante, giorno dopo giorno; ma quel che è peggio è che alcuni hanno il coraggio di sostenere che tutto ciò sia giusto, normale o addirittura auspicabile!

Così, invece di allevare una nuova generazione di rivoluzionari che ambiscono a costruire una società migliore, gli stessi subordinati contribuiscono a mantenere in essere gli schemi mentali diffusi dal potere, spingendo le nuove generazioni ad imitare i comportamenti dei loro genitori!

Trovati un bel lavoro e che sia totalizzante ed alienante, i parassiti hanno bisogno del tuo sfruttamento;

compra una bella auto, uno smartphone e dei vestiti di marca, in modo di dimostrare l'appartenenza ad un grado sociale più elevato rispetto al tuo, altrimenti poi la macchina del profitto si blocca;

accendi un mutuo per acquistare una casa, gli azionisti hanno bisogno di te;

ma soprattutto, guarda la tv, vai al cinema, leggi i giornali, tieniti informato sulle notizie di cronaca e su tutte le cazzate che vuoi;

vai a messa, prega e credi a quello che ti dicono gli stregoni, ma stai sempre ben attento ad evitare di pensare in modo scettico e razionale, in modo tale da non riuscire mai a comprendere la verità...

Nel vangelo di Matteo sta scritto: «amerai il prossimo tuo come te stesso»; eppure questo comandamento sarà del tutto inutile fin quando non inizieremo ad amare noi stessi.

Ma è del tutto evidente che per riuscire ad amare noi stessi, bisogna innanzitutto comprendere che cosa significhi amare, perché fin quando non saremo effettivamente in grado di amare noi stessi, allora non comprenderemo neanche cosa significhi amare gli altri.

Non c'è amor proprio in questa società, perché chi si lascia sfruttare non si ama; non ci sarà dignità fin quando anche un singolo individuo sarà disposto a tollerare il proprio sfruttamento o la propria privazione di libertà; e non ci sarà nemmeno alcun rispetto né per se stessi né per il prossimo se continueremo a lasciarci sfruttare e a tollerare che lo sfruttamento avvenga nei confronti degli altri.

Bisognerebbe invece pensare: se un altro essere umano viene sfruttato è esattamente come se lo stessero facendo anche a me, e dal momento che io non tollero che lo sfruttamento avvenga nei miei confronti, allora non posso neanche sopportare che quel trattamento sia attuato nei confronti di altri individui che, in quanto esseri umani, sono del tutto simili a me nei loro bisogni di base.

Ma per far questo bisogna innanzitutto ripudiare il concetto di sfruttamento, altrimenti saranno gli sfruttati che renderanno possibile la loro condizione di subordinazione.

Volete che lo sfruttamento finisca? Bene! Non concedetevi agli sfruttatori, trovate un altro modo per vivere e agite in prima persona nei confronti di chi sfrutta, in ogni modo, al fine d'impedire che lo sfruttamento altrui continui a perpetrarsi.

In un'organizzazione sociale degna di una comunità di esseri che amano definirsi umani, il ruolo dello sfruttatore non dovrebbe esistere e affinché questo passaggio avvenga è assolutamente necessario che gli individui non siano più disposti a farsi sfruttare né a tollerare lo sfruttamento altrui.

Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è ingiusto ed intollerabile, indipendentemente dalle condizioni di sfruttamento; si tratta di un mal costume evitabile che deve essere estirpato.

Dal semplice ristoratore che assume un cameriere, al capitalista che ha messo insieme 10.000 dipendenti che generano dividendi col frutto del proprio lavoro, il meccanismo è sempre il medesimo: sfruttare altri esseri umani in modo parassitario per ottenere egoisticamente un profitto.

Non abbiamo bisogno di sfruttatori, azionisti e/o proprietari di fabbriche per produrre i beni ed i servizi di cui abbiamo bisogno, che di solito, in virtù del raggiungimento del profitto, tendono a commercializzare beni scadenti e poco durevoli, in modo da aumentare i consumi in modo sconsiderato ed irresponsabile.

Abbiamo invece bisogno di fabbriche che producono beni che siano qualitativamente elevati, in quantità tali da poter essere distribuiti a tutti gli esseri umani, e che vengono realizzati attraverso la collaborazione dei lavoratori e delle macchine, in modo da ridurre l'orario lavorativo, ma non l'accesso ai prodotti del loro lavoro.

La società può essere riorganizzata in modo che tutti gli individui vivano sullo stesso piano, senza sfruttati e sfruttatori, come una comunità di esseri umani che agisce volontariamente in modo sinergico, per assicurare il benessere collettivo, non quello di pochi a discapito di molti.

Ma fin quando ci saranno individui che intendono sfruttare gli altri, che si sottomettono volontariamente e che tollerano lo sfruttamento altrui, non avremo maturato la consapevolezza necessaria, né tanto meno il diritto sufficiente, per definirci umani e lo sfruttamento continuerà.

Chi è disposto a farsi sfruttare e non si oppone apertamente nei confronti dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo è complice degli sfruttatori, in quanto rende possibile il perpetrarsi delle condizioni d'asservimento per se stesso e per il resto dell'umanità.

fonte: utopiarazionale.blogspot.it

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