Basterà un impianto a renderci più intelligenti? Si afferma l'idea che l'uomo è un essere limitato e, quindi, deve trasformarsi in un computer o, meglio, in un cyborg.
Sono tre le rivoluzioni che domineranno i prossimi decenni: quella informatica, quella biologica e quella delle telecomunicazioni. Tutte e tre stanno già modificando profondamente i modi del pensiero e dell’agire, e quindi del vivere.
Dobbiamo prendere coscienza che l’uomo postmoderno è a una svolta storica: è penetrato nel mistero della genetica e sa di poter modificare i viventi grazie alle tecniche di bioingegneria.
Ciò costituisce un fatto irreversibile che non ha precedenti nella storia. Ora l’elite degli illuminati al potere si prepara ad inaugurare l’era del cyberman. La medicina hi-tech sta trasformando sempre più l’uomo in una macchina.
Nell’estate del 2004, arrivò la notizia dello scienziato inglese Kevin Warwick, professore di cibernetica all’Università di Reading, in Gran Bretagna, che provò sul proprio corpo – già nel lontano 1998 – l’effetto dei chip elettronici, scoprendo che poteva lanciare il suo pensiero in rete.
Gli esperimenti ripresero in più momenti, fino a quando, nel 2002, Warwick, grazie a un centinaio di microelettrodi innestati nelle terminazioni nervose del braccio, fa viaggiare il suo sistema nervoso in internet, comunicando telegraficamente con la moglie e manovrando un robot a migliaia di chilometri di distanza.
Adesso è la volta del professor Frank Guenther, capo del dipartimento Cognitive and Neural Systems dell’Università di Boston. Lo scienziato americano ha aperto il cervello di un uomo e ci ha infilato dentro un sofisticato microchip. L’apparecchio serve a trasformare in linguaggio i pensieri del volontario, impossibilitato a parlare dopo un incidente terribile.
Questa specie di elettrodo viene piazzato sotto la calotta cranica, al confine della zona della corteccia cerebrale predisposta al linguaggio. L’apparecchio rivela gli impulsi del cervello e li trasferisce via radio a un microcomputer esterno che trasforma l’ordine in un programma di sintesi vocale, tipo quelli usati negli ultimi iPhone. Risultato: il paziente che non poteva parlare adesso parla. Tempo rilevato tra la trasmissione degli impulsi e l’ascolto della voce elettronica: 50 millisecondi.
La domanda che segue è quanto meno logica: una volta che l’impianto sarà lì bello e piazzato, più o meno gentilmente infilato sotto pelle, giusto un pelino sotto, tra la calotta e il cervello vero e proprio: chi ce lo potrà più togliere dalla testa? E poi, questo trasmettitore, sarà in grado solo di inviare segnali o anche di riceverli, con il rischio di manovrare l’individualità e la volontà delle persone?
Un passo verso la creazione di una “super-specie”
I neuroimpianti potranno presto essere impiegati anche per aiutare a sviluppare tra i cosiddetti normodotati qualità e tecniche oggi conquistabili solo a fatica. L’elettrodo che ci sveglia quando l’attenzione cala. L’elettrodo che sviluppa udito e vista. O quello che favorisce le sinapsi e quindi ci aiuta a leggere più velocemente il mondo.
Basterà un impianto a renderci dunque più intelligenti? E saremo costretti a denunciare o no di essere portatori di questi “bypass del cervello”? Dovremo fare domanda a qualche autorità (più o meno) etica per essere esonerati dall’installazione di questi impianti? Queste sono le domande che nessuno, da questo momento in poi, riuscirà più a toglierci dalla testa.
Gli aspetti positivi di questa tecnologia sono innegabili, poichè la neurotecnologia offre possibilità concrete per aiutare le persone paraplegiche o audio-video lese. Tra i grandi limiti, però, c’è la proposta di pensare a come sostituire l’impianto celebrale dell’uomo. Si afferma l’idea che l’uomo è un essere limitato e, quindi, necessariamente, deve trasformarsi in un computer o, meglio, in un cyborg, dando vita a degli ibridi.
La fantascienza ci ha già messo in guardia
Film e romanzi sci-fi hanno spesso descritto scenari abitati da cyberuomini, a metà strada tra l’uomo e la macchina.
Pensiamo al film di Robert Longo, Jhonny Mnemonic, nel quale il protagonista, Johnny, è un ricordante, un corriere-dati che è stato ingaggiato per trasportare software illegale, senza fare domande, in una bolla di memoria inserita chirurgicamente nel proprio cervello, la cui installazione gli ha inoltre provocato la perdita di gran parte dei propri ricordi passati.
Oppure ai cyber-alieni di Star Trek, i borg, umanoidi provenienti da differenti razze, catturati e modificati attraverso impianti cibernetici che hanno potenziato le loro capacità fisiche e mentali, ma che hanno anche annullato la loro volontà individuale.
Scenari descritti recentemente anche da Daniel Wilson, autore di Robopocalypse, in un articolo apparso sul Wall Street Journal, alla vigilia dell’uscita del suo attesissimo Amped. Il termine sta appunto a indicare gli “amplificati”: quelli cioè con le capacità cerebrali amplificate dalle tecniche che fino a ieri sembravano solo fantascienza.
Si parla ormai di transumanesimo
Si tratta di un vero e proprio movimento tecnofilosofico che crede nella trasformazione della razza umana nei cyborg. L’ibrido uomo-macchina, infatti, viene visto come la realizzazione di un’umanità superiore, più potente e con più capacità dei quella attuale.
Veramente gli ibridi rappresentano un futuro così eccitante e una nuova frontiera per la scienza? Kevin Warwick considera i cyborg in termini di upgrade mentali, con un cervello in parte umano e in parte artificiale.
I cyborg saranna avanzati nel comunicare, nella conoscenza, nel movimento, come pure dei sensi extra. E saranno, addirittura, capaci di pensare in più di tre dimensioni. Ma che cosa ne sarà del vissuto affettivo, artistico e spirituale del cyberman?
La tecnologia non è in grado di rispondere, nè di interpretare il grande mistero della persona umana e della sua esistenza. A questo, dunque, conviene restare con il vecchio e debole uomo che è ancora alla ricerca delle sue origini e del suo destino, di un compimento, di un’anima.
fonte: ilnavigatorecurioso.it
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