Quello che non ci raccontano è che la grande sete ci sta ormai minacciando da vicino, come una vera e propria guerra: solo dalla Siria, 800.000 persone sono scappate già nel 2010, ben prima dell’esplosione del conflitto, abbandonando le aree rurali del paese
Motivo dell’esodo, oltre alle dighe turche che drenano le acque dell’Eufrate, «la peggiore siccità a lungo termine e il più grave insieme di fallimenti agricoli da quando cominciarono le civiltà nella Mezzaluna Fertile», quelle che “inventarono” l’agricoltura. Francesco Femia, co-fondatore del “Center for climate and security”, sostiene che – insieme all’esplosione demografica – l’innalzamento del clima terrestre (e quindi la scarsità d’acqua) si stiano traducendo in un problema drammatico, a livello planetario: la carenza di cibo. Ne risentono persino le aree centrali degli Stati Uniti, oltre al Medio Oriente e all’Asia Centrale. L’emergenza non ha confini: investe Cina e India, ripercuotendosi anche sull’Africa.
Per i climatologi, la recente e prolungata siccità nel Mediterraneo orientale è dovuta al surriscaldamento terrestre, rivela Katie Horner in un report sullo siccitàstato del pianeta, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Poco più a sud della Siria, vacilla anche l’Arabia Saudita, che già oggi è uno dei primi 5 importatori mondiali di riso: dopo aver pompato acqua per decenni dal sottosuolo per far crescere il grano nel deserto, l’emirato petrolifero sa che dal 2016 sarà probabilmente dipendente al 100% dalle importazioni di derrate alimentari. Una spia allarmante: «Dato il ruolo dell’Arabia Saudita come produttore di petrolio, disordini politici dovuti al clima e all’acqua potrebbero gettare scompiglio sull’economia globale». Di acqua e terra fertile è invece ricchissima l’Africa, che però fa gola agli assetati e agli affamati. secondo “Oxfam International”, il Medio Oriente e l’Asia – Cina in primis – hanno già comprato qualcosa come 560 milioni di acri di terra africana, in una sorta di “neo-colonialismo climatico” che prevede l’inevitabile sfratto dei nativi, espropriati dei loro terreni e costretti a La Diga delle Tre Gole in Cinaemigrare. «Non c’è bisogno di dire che anche questa dinamica è una ricetta per un conflitto».
Due giganti come Cina e India sono costrette ad affrontare gravissime crisi idriche, «con popolazioni affamate dai raccolti asciutti». Inoltre, l’energia richiesta per pompare e canalizzare l’acqua è normalmente fornita da impianti potenti, che per funzionare richiedono a loro volta grandi quantità d’acqua. Come se non bastasse, Pechino controlla la più grande fonte di acque fluviali, a nord dell’India. Per Brahma Chellaney, esperto geostrategico dell’università di Nuova Delhi, nessuna nazione nella storia ha costruito più dighe della Cina: più di quelle del resto del mondo messo insieme. Sbarramenti che dirottano altrove anche l’acqua che fluirebbe in India. L’acqua manca per tutti, ci si affida alle piogge stagionali e l’agricoltura diventa instabile: dovendo affrontare la prospettiva di nutrire due miliardi e Il fiume Syr Daryamezzo di persone, «non è difficile immaginare tensioni in ebollizione», lungo i confini tra i due colossi dell’Est.
Non troppo lontano, in Asia Centrale, la caduta dell’Urss ha provocato il collasso del bacino irriguo del Syr Darya, il fiume che bagna Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kazakistan prima di svuotarsi nel lago d’Aral, a sua volta prosciugato dalle monocolture come il cotone introdotte negli anni ’50. Rimasto senza il gas russo a buon mercato, ora il Kirighizistan trattiene a scopo idroelettrico le acque del lago artificiale di Toktogul, creato per scopi irrigui. A valle, ne soffrono uzbeki e kazaki: finora, nessun accordo internazionale ha risolto il problema, neutralizzando le tensioni. Senza contare i guai dei paesi meno sospettabili, dal punto di vista della carenza idrica: l’ennesima siccità nel Midwest degli Usa ha seriamente compromesso il raccolto di prodotti strategici come il mais e la soia. Visto che il paniere agricolo americano influenza i prezzi del cibo globale, la penuria apre un conflitto coi paesi in via di sviluppo. Basandosi su dati storici, il “New England Complex Systems Institute” dimostra che, oltre una certa soglia, il rincaro dei prezzi alimentari causa quasi certamente rivolte: la stessa “primavera araba”, del resto, fu innescata dalla protesta per il costo del pane.
fonte:
libreidee.org
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