Un giorno aveva perduto il cane, poi si era trasferita in un'altra città; e poi ancora, e ancora, e ancora: in tutto, i traslochi sono stati quattro.
Nel frattempo la donna si era sposata e aveva avuto due figli; ma non aveva mai dimenticato il suo amico a quattro zampe e si era sempre crucciata per la sua scomparsa.
Ma ecco che, come in un film di Lassie - anzi, molto più incredibilmente, perché sono trascorsi cinque anni e di acqua ne è passata sotto i ponti - Prince si presenta alla porta di casa: alla porta della nuova casa della sua vecchia padrona; la quarta casa dopo quella in cui viveva in California, all'inizio della storia; e subito si sono riconosciuti, come il cane Argo e il suo amato padrone Ulisse, nonostante la lunghissima separazione.
La fonte della notizia è Nbc News; e, anche se frotte di zelanti negatori del mistero si affretteranno a metterla in dubbio, per esempio sostenendo che il cane "redivivo" non era il vero Prince, ma soltanto uno che gli rassomigliava, la realtà è che esiste una ricca casistica di questo genere, di ritorni a casa di animali domestici, cani e gatti soprattutto, talvolta in circostanze così straordinarie da superare la fantasia di qualsiasi romanziere o soggettista cinematografico.
Rocky è un pastore tedesco che viveva a Carrara con il suo padrone, un siriano bene integrato di nome Ibrahim Fwal: i due formavano una coppia fissa, inseparabile. Un giorno, sulla spiaggia, alcuni Rom rapiscono il cane, approfittando di una breve distrazione del suo padrone; il quale, per ben tre anni, ne perde ogni traccia, nonostante tutte le ricerche effettuate nei canili e gli annunci fatti pubblicare sulla stampa.
A Salerno, poi, il cane viene trovato da una famiglia: forse è scappato, forse è stato abbandonato; nessuno saprà mai cosa gli è accaduto nel frattempo. La famiglia si affeziona e lo adotta; ma Rocky è triste, irrequieto: vuole ritrovare il suo padrone "vero". Si allontana e si mette per la strada. Alcune persone lo vedono, stremato, affamato, con le zampe sanguinanti, che si trascina nei pressi di Pisa, 600 km. a nord di Salerno e a "soli" 100 km. da Carrara, la città di provenienza.
Come è arrivato fin lì? Mistero; ma è difficile pensare che si tratti di un caso.
Il bello (anzi, il brutto) è che, leggendo l'indirizzo sulla medaglietta, quelle persone sono intenzionate a rimandarlo a Salerno: telefonano presso quella famiglia e ricevono la conferma che il cane è proprio il loro, è scappato di casa. Per fortuna, qualcuno nota un particolare tatuaggio sull'animale, che risale a quando era solo un cucciolo e viveva al canile, dove Ibrahim lo aveva prelevato; il siriano viene contattato e, incredulo, lo viene a prendere: finalmente l'uomo e l'animale si possono riabbracciare, felici.
Un altro cane di nome Rocky, un meticcio di due anni e mezzo, era stato smarrito dal suo padrone durante una gita in riva al Po, al Lido delle Nazioni, località sulla costa adriatica non lontano da Comacchio. Venti giorni dopo, il suo padrone, Roberto Ori, che abita a Revere, un paese in provincia di Mantova, si vede venire incontro la povera bestia, stanca e smagrita, ma raggiante: ha percorso, tutto sola, 130 km. senza sbagliare strada, guidata da una forza misteriosa.
Ancora più impressionante è la storia di Sugar, un gatto persiano che viveva nella casa dei coniugi Woods, nella città di Anderson, il California, nel 1951. Quando i due dovettero trasferirsi a Gage, in Oklahoma, decisero di affidare il gatto, che non sopportava i viaggi in automobile, ai loro vicini; e lo lasciarono definitivamente, sia pure a malincuore.
Quattordici mesi dopo, un gatto somigliantissimo si presenta alla loro nuova fattoria ed essi lo prendono con sé, in ricordo di Sugar. A volte si domandano se non sia proprio lui, ma non riescono a crederci; finché, un giorno, la signora, accarezzandolo, riconosce, con sommo sbalordimento, la stessa deformazione ossea di cui soffriva la loro bestiola d'un tempo. Una telefonata agli ex vicini di Anderson confermò che il gatto era scappato poco dopo la partenza dei Woods, ma che, per non preoccuparli, essi avevano deciso di non informarli.
L'elenco potrebbe continuare a lungo; ci sono dei casi ancora più notevoli, che hanno realmente dell'incredibile.
Ian Wilson, nel libro "La forza nascosta", riporta il caso di un altro gatto:
«…Non sono mai state spiegate bene le documentate vicende di animali persi che sono riusciti poi attraverso tutta una serie di avversità, a ritrovare i loro padroni. Uno di questi esempi è quello di un gatto di nome Micky, che aveva sempre vissuto n campagna vicino a Tamworth, nello Staffordshire. Quando, una decina di anni fa, i suoi padroni dovettero trasferirsi a Londra per motivi di lavoro, dato che Micky era un gatto di campagna, si ritenne fosse meglio che rimanesse lì e l'animale venne affidato alle cure di alcuni parenti. Lui però la pensava diversamente. Per un po' fu triste, poi scomparve misteriosamente da Tamworth e sei settimane dopo, esausto, magro e inzaccherato, fece la sua comparsa nella nuova casa londinese dei suoi padroni, una casa che non aveva mai visto prima. Dato che i padroni erano partiti in macchina, era impossibile che avessero lasciato una traccia odorosa. E allora, che cosa mai aveva guidato Micky per più di cento miglia di territorio straniero e misterioso, per consentirgli poi di distinguere quella particolare casa tra milioni di altre?»Sorge spontanea la domanda: come fanno, questi animali, a ritrovare la strada di casa, percorrendo decine o centinaia di chilometri, a volte perfino dei mari, imbarcandosi di nascosto su navi o aerei, senza una traccia olfattiva da seguire, magari a distanza di mesi o anni da quando le circostanze li hanno separati dai loro padroni?
L'istinto, si dice: e con ciò si pensa di aver spiegato tutto; senza avere la lealtà di ammettere che "istinto", in casi del genere, è la classica parolina magica che serve unicamente a coprire la nostra totale ignoranza e a darci la rassicurante sensazione di aver risposto, bene o male, alla domanda.
E invece no.
Già le migrazioni degli animali sono un grosso mistero; e non parliamo tanto dei mammiferi quanto dei pesci, come le anguille, che percorrono l'Atlantico e risalgono i fiumi europei "che non hanno mai conosciuto prima". Più ancora, degli uccelli oceanici, come gli albatri, che volano talvolta da un Polo all'altro senza mai perdere la direzione, di notte, con la nebbia, con il cielo coperto, dunque anche senza potersi orientare con il sole o con le stelle e, certamente, anche continuando a dormire, dal momento che non fanno soste e non scendono a terra per migliaia e migliaia di chilometri.
Già questo, dunque, è un grande, un grandissimo mistero; per il quale, tuttavia, esistono delle possibili spiegazioni naturali, a cominciare dal magnetismo terrestre, che, se non altro, permettono di ipotizzare delle ragionevoli e comprensibili risposte.
Ma quando si tratta di animali isolati, di animali non migratori; quando si tratta di animali domestici, per giunta decisamente sedentari, come gatti o cani da compagnia; quando sui tratta di animali che non si sono mai allontanati da casa e che mai hanno visto prima i luoghi che dovranno raggiungere per fare ritorno a casa, talvolta percorrendo grandissime distanze: come si può parlare di istinto, ossia di comportamento innato, ereditato dalla specie, essendo evidente che le situazioni di cui si parla presentano caratteri di assoluta novità e imprevedibilità?
In una prospettiva materialista e riduzionista, l'unica spiegazione ammissibile deve essere basata su una traccia sensibile, dei sensi esterni (olfatto) o interni (correnti elettromagnetiche); il limite di questa impostazione è che essa stabilisce in anticipo cosa sia possibile e cosa no: il che, a ben vedere, costituisce un vero e proprio tradimento dell'autentico spirito scientifico.
Se, viceversa, si allarga l'orizzonte ad una prospettiva olistica e spirituale, che include il dato materialek ma non si ferma esclusivamente ad esso, assolutizzandolo, bensì lo interpreta come un primo livello di realtà e, quindi, di conoscenza, nuove ed emozionanti ipotesi si dischiudono per il ricercatore che si ponga davanti ai fatti, per quanto possibile, con mente libera da ogni genere di pregiudizio.
I fatti sono che un animale domestico non dovrebbe essere in grado di ritrovare la strada di casa, quando si trovi a centinaia di chilometri da essa; quando non abbia mai percorsa quella strada in precedenza; quando si tratti, addirittura, di trovare una casa nuova e a lui del tutto sconosciuta, ossia quando si tratti di ritrovare propriamente non una casa, ma i suoi vecchi padroni, che si sono trasferiti altrove e sono andati a vivere in un luogo completamente estraneo.
L'animale, dunque, non può aver seguito una traccia olfattiva; non può aver seguito un percorso atavico della sua specie, non trattandosi di un animale migratore, ma, al contrario, di un animale sedentario e profondamente "umanizzato", che ha trascorso tutta la sua esistenza a contatto con gli esseri umani e non con i propri simili.
Il primo pregiudizio del quale occorre sbarazzarsi, a nostro avviso, è quello di pensare che l'uomo e l'animale siano due entità completamente differenti e non paragonabili, per cui quello che è valido per l'uno, dotato di facoltà psichiche superiori, non può esserlo anche per l'altro.
Si osserva che presso talune popolazioni native, come i Boscimani del Kalahari o gli Aborigeni australiani, sono attive notevoli facoltà telepatiche, al punto che, spesso, questi indigeni sembravano in grado di localizzare la selvaggina lontana o di "sapere" che un parente è morto, magari a centinaia di chilometri di distanza; fatti che sono stati segnalati più volte da missionari, viaggiatori e colonizzatori europei e che, ogni volta, hanno suscitato la più grande meraviglia in questi ultimi, per l'impossibilità di formulare alcuna plausibile spiegazione razionale.
Ebbene, questa analogia permette di ipotizzare che gli animali, quando fanno ritorno a casa da luoghi molto lontani, in realtà NON SEGUONO UNA STRADA, MA SEGUONO UN PENSIERO, e più precisamente seguono IL PENSIERO DEI LORO AMICI UMANI, DEI LORO PADRONI O EX PADRONI, dei quali sentono fortemente la nostalgia e cui vorrebbero, con tutte le loro forze (stavamo per dire: con tutta la loro anima; ma di ciò parleremo un'altra volta), potersi riunire.
Se questa ipotesi può avere un fondamento, allora essa ci rimanda inevitabilmente al concetto dell'Akasha, ossia di quel grande deposito universale del reale, cose, eventi, pensieri e ricordi, in cui è presente ogni istante di ogni singolo vivente, ogni esperienza, ogni sensazione, passata, presente e futura, e di cui abbiamo già detto qualcosa in diverse occasioni.
La cronaca dell'Akasha sta sul confine del mondo fisico e conserva l'essenza di ogni cosa concepita nel mondo da esseri coscienti, sotto forma di immagini.
Secondo Rudolf Steiner, chiunque sia iniziato a leggere questa scrittura vivente può sviluppare la capacità di vedere e conoscere le cose, molto tempo dopo che sono accadute o molto prima che accadano.
Secondo Julius Evola, l'Akasha è una sorta di etere vitale, che tende a confondersi con l'idea stessa di spazio, ma uno spazio vivo, saturo di ogni genere di qualità e intensità.
In quest'ultima ipotesi, dunque, l'Akasha non è soltanto un archivio universale dell'esistente, ma un mondo parallelo a sé stante, in cui tutto ciò che è possibile e pensabile trova esistenza, e che rappresenterebbe una realtà autonoma, non solo un "copia" o una immagine dei pensieri degli esseri dotati di sensibilità, intelligenza e memoria.
È quasi inutile evidenziare che tanto la concezione di Steiner, quanto quella di Evola si avvicinano molto al concetto di Mente universale, di origine antichissima e precisamente orfico-pitagorica, di cui vi è un'eco anche nel sesto libro dell'"Eneide" di Virgilio; concetto che si integra con la credenza nella metempsicosi o rinascita delle singole anime individuali, in un ciclo molto ampio, il cui fine ultimo è, platonicamente (vedi il mito di Er; ma vedi anche le dottrine induiste e buddhiste sulla reincarnazione) la liberazione definitiva dal mondo materiale, mediante lo sviluppo di una superiore consapevolezza spirituale.
Se, dunque, le singole menti degli esseri viventi non sono che una parte della Mente cosmica, cui appartengono e in cui si muovono, senza saperlo, come i pesci nell'acqua del mare, ecco allora che si può intravedere una possibile spiegazione per il mistero del ritorno a casa degli animali domestici, talvolta attraverso strade sconosciute e coprendo distanze immense.
In parole semplici, questi animali avrebbero sviluppato la capacità di accedere alla Mente cosmica e di "leggervi" le informazioni desiderate con tanta intensità; e ciò con lo stesso grado di chiarezza e di evidenza con cui uno studioso, leggendo le pagine di un libro, trova il soggetto che stava cercando.
Si noti che anche fra gli umani è presente una facoltà di questo genere, oltre che presso i popoli nativi che vivono a più stretto contatto con la natura: precisamente, la si trova fra i bambini, o meglio, presso taluni bambini che hanno la particolare capacità di accedere a un una dimensione ulteriore, traverso la quale vengono a conoscere cose che in nessun'altra maniera potrebbero avere appreso.
Sono casi relativamente rari, ma ben documentati.
Ecco, dunque, qualcosa su cui riflettere; qualcosa che, partendo dai misteriosi ritorni degli animali, getta un fascio di luce sul grande arcano della Mente cosmica e sulle sue numerose implicazioni filosofiche.
Ce n'è quanto basta per rivedere molti luoghi comuni e molte pretese certezze acquisite dalla scienza materialista e riduzionista che oggi va tanto per la maggiore, da avere addirittura usurpato il nome di "scienza" tout-court; come se non fossero possibili altre idee della scienza, altri modelli scientifici, capaci di tenere nel debito conto la realtà dell'ordine soprannaturale e di non ridursi ad una cieca assolutizzazione di ciò che è visibile, quantificabile, sperimentabile in laboratorio.
di Francesco Lamendola
fonte: edicolaweb.net
consiglio il libro "il segreto della vita" di Georges Lakhowsky
RispondiEliminaGran bel articolo...
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