Dai campi Fema della North Carolina se ne esce soltanto se si accetta di farsi infilare un microchip sottocute.
Ai senza fissa dimora detenuti nel campo Fema della North Carolina è stata posta la scelta se rimanere o se andarsene, ma solo a condizione che gli venga impiantato un chip. L’Rfid (Radio-frequency identification) servirebbe a monitorarli e a tenerli sotto controllo, in cambio di benefici di sopravvivenza, cibo, coperte, vestiario
La notizia si è diffusa, per diverse ragioni: intanto il monitoraggio, e di fatto la limitazione delle libertà personali di uomini e donne che sono detenuti senza aver commesso reati, ma solo perché homeless, senza fissa dimora, e senza occupazione. Ma ha riportato alla ribalta di nuovo anche la gestione della disoccupazione negli Usa. Campi Fema. A chi ricorda il romanzo di John Steibeck Furore e il film che ne venne tratto non sarà difficile farsene un’idea.
Che cos’è Fema?
Fema è un’agenzia governativa (Federal Emergency Management Agency) nata per la gestione di emergenze umanitarie nel 1978, sotto la presidenza Carter (Wikipedia). Una sorta di Protezione civile sotto la supervisione del Dipartimento per la sicurezza nazionale.
Dopo le Twin Towers del 2001, e precisamente l’anno successivo, il procuratore generale John Ashcroft “annunciò il desiderio di avere dei campi per i cittadini statunitensi che egli reputava essere ‘nemici combattenti’,” e che il suo piano “gli permetterebbe di ordinare la detenzione a tempo indeterminato di cittadini statunitensi e spogliarli sommariamente dei loro diritti costituzionali e l’accesso ai tribunali, dichiarandoli nemici combattenti” («Los Angeles Times»). In breve si trasformò in ciò che è adesso, e che fa dire a truthisscary.com che la “Fema è un governo segreto, che può sospendere la legge, la costituzione americana, i diritti civili”.
Il suo percorso è tracciato dalla paranoia della prevenzione: prima per un attacco nucleare, poi per calamità naturali, poi per attacchi terroristici. Ora nei suoi campi rinchiude senza fissa dimora.
I campi Fema
Fema ha a disposizione circa 800 campi dislocati in tutti gli Stati Uniti e può detenere fino a 2 milioni di persone: rifugiati ipotetici, secondo la sua mission. Ma non solo. La relativa autonomia ha condotto a una gestione non sempre uniforme di questi campi, perlopiù tenuti vuoti e pronti, per esempio in North Carolina negli anni Settanta, a una reclusione in massa degli attivisti di colore, se si fossero sollevati. Escogitur.com ricorda le parole espresse in merito dal capo della Fema nel 1987, Alonzo Chardy, al «Miami Herald», il quale aveva redatto un ordine esecutivo appunto destinato a sospendere la Costituzione con relativa dichiarazione della legge marziale se ve ne fosse stato bisogno. Una Guantanamo in grande, pronta peraltro ad accogliere anche infatti persone di fede islamica, dopo i fatti dell’11 settembre 2001.
All’onore delle cronache i campi Fema tornano di recente, quando ilNorth Carolina diventa l’esempio di come anche solo il vagabondaggio possa essere perseguibile. L’agosto del 2013 il Columbia City Council approva il programma di creazione di forze speciali di polizia che perseguano la “quality of life”. Di fatto si tratta di pattuglie che, dall’ottobre dello stesso anno aprono le porte del campo Fema di Columbia. Perseguono i senza fissa dimora accusati di vagabondaggio o sorpresi nel sonno o a orinare contro una pianta, li caricano sui mezzi e li conducono nel campo, a pochi chilometri dalla città. Ne parlano i siti attivi sul fronte dei diritti umani, come trueactivist.com, ma pochi altri. Segregazione si accompagna a segretezza. Fino a quando almeno, agli inizi di novembre di quest’anno, una troupe della Nbc si trova a filmare nei pressi di New York una prigione abbandonata, per un servizio culturale, ma non ci riesce. L’operatore non ha tempo a cominciare le riprese che dalla prigione esce un graduato, non si capisce di che arma, e intima alla Nbc di allontanarsi. È un contractor. La prigione non è abbandonata, non si può filmare, e non è gestita da un Dipartimento di Stato bensì da una polizia privata (globalresearch.ca).
Il che fa il paio con il chip che si vorrebbe impiantare sotto cute agli homeless di Columbia in North Carolina, ma soprattutto comincia a far interessare gli statunitensi a questi luoghi di detenzione, quando il «Wall Street Journal» strombazza un giorno sì e uno no la diminuzione della disoccupazione che permetterebbe il rialzo dei tassi di interesse agli Usa e all’Inghilterra. Fatto salvo il fatto che i parametri con cui si stabilisce il tasso di disoccupazione rimangono segreti (e sotto il governo Thatcher in Inghilterra cambiarono 37 volte!), perché più che rendere conto di un fenomeno economico e sociale, risultano un dispostivo di accredito politico, volto a instillare maggior fiducia all’estero e maggior speranza e stabilità all’interno (“Non vorrai mica fare la rivoluzione ora che c’è lavoro!”).
Ma anche ci si interroga su quanto non sia generalizzato questo senso di “quality of life” ora in mano a polizie cittadine e private, a contractors. A difesa non soltanto dell’estetica metropolitana, ma anche, se non soprattutto, di quel divario sociale che sempre di più fa sorgere gated communities, quartieri privati, dotati di sorveglianza armata, recinzioni e filo spinato per tenere, queste sì, fuori la gente e non dentro. Gente in, gente out, da non vedere, o da vedere il meno possibile, segregare per non suscitare malesseri, per tenere le strade pulite.
“Ma è questa l’America che vogliamo?” si chiedono in molti.
di Massimo Bonato
fonte: tgvallesusa.it
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